Restaurare un edificio di valore storico comporta delle analisi preliminari volte a verificarne la completezza, l’integrità, la presenza di dissesti statici, l’eventualità di crolli, la presenza e lo stato di conservazione degli affreschi, insomma tutta una serie di accertamenti che possono chiarire se l’edificio sia ancora fruibile a scopi abitativi, lavorativi o di rappresentanza.
La Fotografia costituisce un mezzo di grande utilità per ricavare una visione corretta dei vari corpi di fabbrica, ma è anche uno strumento efficace (e alquanto affascinante) per prefigurarsi la trasformazione dell’immobile a restauro avvenuto.
Infatti, una post-produzione che rispetti e non stravolga la prospettiva e le reali dimensioni degli ambienti, il colore delle tinte e la qualità della luce che entra nelle stanze, lavora in perfetta sinergia con le valutazioni effettuate dai periti o dai ricercatori.
Tutto questo emerge con evidenza dal servizio effettuato per conto di un’agenzia incaricata di trovare un acquirente per Villa Osboli Calegaro, a Castelnovo di Isola Vicentina (VI).
La documentazione ha permesso di realizzare anche un video, nel quale s’intuiscono le enormi potenzialità di riuso offerte da questo maestoso monumento, di origine settecentesca e di ispirazione palladiana.
L'Archeologia Industriale rappresenta uno dei campi di applicazione non solo della fotografia puramente conservativa, ma anche di quella commerciale, poiché non è raro che gli stabilimenti di epoca ottocentesca deputati ad attività storiche, come la lavorazione della lana a Schio, vengano poi recuperati e 'frazionati' in epoca moderna, in una serie di spazi funzionali alle attività amministrative, al co-working, agli eventi mondani etc.
Palazzo Brocchi (1585), ubicato in Salita Brocchi a poca distanza da Porta Dieda, è uno dei palazzi più antichi e imponenti di Bassano del Grappa.
Oggetto di restauro conservativo, è stato di recente ‘recuperato’ per un uso abitativo-direzionale. Di notevole interesse le decorazioni parietali di alcune stanze, esaltate in foto dal forte accento chiaroscurale dell’illuminazione interna.
La chiesetta di Santa Giustina a Giavenale, frazione di Schio (VI), vanta origini antichissime – probabilmente longobarde – ma è stata ricostruita quasi per intero nel 1581. Oggetto di continue indagini, costituisce un esempio emblematico dell’importanza dell’apporto fotografico nell’analisi delle stratificazioni murarie, degli arredi interni (in particolare le pitture) e dell’area in cui sorge.
Le foto della gallery, infatti, mostrano chiaramente come la fotografia possa restituire preziose informazioni in un’eventuale ricognizione archeologica di superficie, mentre la documentazione degli alzati è un imprescindibile strumento per comprendere lo stato di salute delle murature e le modifiche avvenute nel corso del tempo (es. avancorpi, aperture poi tamponate, etc.).
La ricerca archeologica è solita servirsi di immagini ad alta risoluzione, capaci di fornire il massimo in fatto di dettagli e cromie. Le odierne reflex – come la Nikon D850 (46 mpx) di cui faccio uso – sono ideali per documentare i manufatti archeologici, come appunto i resti dell’acquedotto romano visibili in località Lobia, a pochi chilometri di distanza da Vicenza.
La struttura è costituita da 5 arcate a sesto ribassato e da una ventina di pilastri, per un tratto complessivo di 180 metri. La datazione proposta per il I secolo d.C. si basa prevalentemente sull’osservazione della tecnica edilizia: l’impianto è in opera cementizia racchiusa da un paramento di blocchetti di calcare locale.
Mai come in questo caso una documentazione fotografica affidata a macchine ricche di pixel facilita la ‘leggibilità delle stratificazioni murarie’, soprattutto quando le strutture antiche appaiono inglobate dagli edifici contemporanei.